
Tempo fa ho comprato The Artist in edizione Feltrinelli-Le Nuvole e ho finalmente avuto l'occasione di vederlo e di leggere il libricino Senza Parole fornito col DVD.
Intanto cos'è The Artist: è un film francese, muto e in bianco e nero del 2011. Ha spazzolato un elenco infinito di premi; Oscar, Cannes, BAFTA, Golden Globe, etc. Nell'era dell'evoluzione cinematografica verso il digitale e il 3D il regista Michel Hazanavicius ha scommesso su questo film e la sua intraprendenza è stata premiata.
Il film parla di George Valentin (Jean Dujardin), idolo del cinema muto americano degli anni '30, che subisce il declino a causa dell'avvento del sonoro. Lo sconvolgimento delle metodologie di recitazione, da una pura arte visiva a quella più complessa, visiva e sonora, del cinema attuale, lo portano a sviluppare una vera e propria fobia del sonoro. Caduto in depressione e ridotto sul lastrico anche a causa del crollo della borsa del 1929, troverà il sostegno della giovane attrice Peppy Miller (Berenice Béjo), oltre a quello del suo affezionato maggiordomo (James Cromwell) e del suo cane.
Come al solito SPOILER IN ROSSO.
Cosa mi è piaciuto:
Il protagonista, Jean Dujardin. Bravissimo. Quest'attore ha una fortissima capacità comunicativa, sia coi primi piani, con l'espressività facciale, sia sul lungo campo, con la mimica del corpo. Stupendo il passaggio dai suoi giorni felici, dove risplende con un sorriso leggero e spensierato, a quelli della caduta, dove trascina il suo corpo da un bar all'altro in un mondo che non è più suo. Pare che, per dare la sensazione di pesantezza del passo nella fase di disperazione, abbiano usato delle scarpe con suole appesantite. Inoltre hanno giocato sui colori o, meglio, sulla scala di grigi, per evidenziare il periodo allegro con il forte contrasto bianco/nero dello smoking e il periodo di depressione con abiti grigi.
- La colonna sonora. Vincitore dell'Oscar come Miglior Colonna Sonora, il compositore Ludovic Bource ha lavorato ispirandosi alle musiche del cinema muto degli anni d'oro (Chaplin, Max Steiner, Franz Waxman, Bernard Hermann,etc.), passando per i grandi compositori romantici come Brahms e arrivando infine a Ravel, Debussy e Prokofiev. La colonna sonora è fortemente orchestrale ed è stata eseguita dall'Orchestra Filarmonica delle Fiandre, a Bruxelles. Inutile dire che qui la musica è praticamente una seconda protagonista del film ed adempie alla non semplice funzione di trasmettere tutte le emozioni e di chiarire le varie situazioni che si presentano. Bella. Dal tema di Peppy all'oboe sibillino, dalla classica al jazz del tip tap.
- La co-protagonista, Berenice Béjo. Anche lei molto brava. Mi è piaciuta la scena in cui gira per il camerino di George e si ritrova ad abbracciarsi col manichino coi vestiti dell'attore.
- Il cane. Stupendo!
- C'è l'errata convinzione che un film così possa essere noioso. Vista l'impossibilità di avere lunghi discorsi e l'aiuto delle parole, con questo tipo di film le trame sono molto più semplici di quelle attuali. La musica e la storia scorrono velocemente e le immagini rendono la comprensione immediata. Il bianco e nero è sfruttato sapientemente e le diverse gradazioni di grigio aiutano a capire l'atmosfera. Sentendo "è un film muto e in bianco e nero" alcuni desistono subito dal guardarlo pensando erroneamente che sia pesante, il film è invece leggero e scorrevole quindi...non temete!
- Il film è muto per rispecchiare la mente del protagonista. Malgrado ai protagonisti sia richiesta più del normale la capacità espressiva, il film non è girato come un vero film muto. Ovvero i movimenti e le espressioni, anche se lievemente accentuati, sono naturali e non fortemente marcati e un po' fittizi come quelli dei film muti originali. Per capire la differenza si può fare il confronto con le espressioni di Dujardin nei finti film muti del film. Il muto viene dunque usato per rappresentare la concezione anti-sonoro del protagonista. Emblematico è il sogno di George dove vengono introdotti i suoni di un bicchiere, delle risate e persino di una piuma che, cadendo per terra, provoca un boato assordante. Infine, quando anche George piega il suo orgoglio al nuovo mondo cinematografico, sentiremo finalmente la sua voce.
Cosa si poteva approfondire:
- Lo sconvolgimento delle innovazioni tecnologiche. In questo film, questo tema è usato come un mezzo. Il regista stesso ha detto che lui non è interessato alla rappresentazione della realtà, e dunque ad una rappresentazione storica di quegli anni, bensì alla sperimentazione di queste vecchie tecniche di ripresa. Ha deciso di ambientarla in quegli anni e proprio finché il mondo cinematografico era in subbuglio in un secondo momento e ha optato per una storia d'amore perché erano quelle che meglio funzionavano all'epoca. Tuttavia il tema è sfiorato e mi sarebbe piaciuto vederlo sviluppato. Proprio recentemente parlavo con un amico de L'Illusionista, il film d'animazione del 2010 su soggetto di Tati, di Hugo Cabret, che parla di Méliès e di Tolkien. In tutti e tre questi personaggi è forte il rimorso per l'avvento delle nuove tecnologie e, in particolare nei due registi, la sensazione di alienazione da un mondo che s'impoverisce più velocemente di quanto loro non riescano a sopportare. Sarebbe stato bello capire perché alcuni artisti abbiano rifiutato il passaggio al sonoro e come questi pensassero che la nuova invenzione degradasse la loro arte.
Il DVD:

Visto che è muto non interessa molto sapere la lingua...in ogni caso le poche frasi scritte sono in inglese sottotitolato. Come extra c'è un'intervista al regista e il trailer, poca cosa insomma. In compenso nel libretto ci sono le interviste al regista, a Dujardin, alla Béjo e a Bource, alcuni articoli e una riflessione storica su quell'epoca.
Concludo riportando una frase dall'articolo "Bello da ammutolire" di Vincenzo Cerami ne Il Sole 24 Ore perché mi sembra un buon riassunto:
Michel Hazanavicus s'è un po' arrampicato sugli specchi per far tornare i conti di un film che rischiava di annodarsi su se stesso e del gioco a carte scoperte del cinema nel cinema. Il partito preso del muto a tutti i costi rimane come un nodo risolto poeticamente e irrisolto narrativamente. Ma gli spettatori in sala, incantati dalle immagini, dall'ironia della scrittura e soprattutto dalla straordinaria bravura di Dujardin e della Béjo, quasi subito rimangono coinvolti senza porsi troppe domande sulla logicità del racconto. Ritrovano il gusto dei tempi in cui il cinema era tutto da scoprire.
Buonanotte e buona visione ragazzi...;)
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